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L'8 agosto 1967 si celebra il primo volo del Boeing 737-100. Due anni dopo, nel 1969, i quattro di Liverpool pensano sia cosa buona e giusta farsi fotografare mentre attraversano Abbey Road. Altri cinque anni, è il 1974, Richard Nixon, così come lo racconta anche Forrest Gump, lascia la Casa Bianca per via dello scandalo Watergate.
La storia del volo, pindarico, fisico, reale, immaginario. All'atterraggio il responsabile della cabina, Ivan, informa i passeggeri che è severamente vietato slacciare le cinture fino a quando il capitano, José, spagnolo, trentacinque anni e poca conoscenza dell'italiano, non avrà dato l'apposito segnale. Ma il clangore delle cinture metalliche che si slacciano, verso la tanto agognata libertà, è inevitabile, quasi ancor prima che il carrello si sia aperto. A tutti piace provare il brivido di contravvenire una regola così semplice, banale. Superman dice che, statisticamente, volare è il modo più sicuro per viaggiare. Lui lo fa dal 1938 (per gli italiani dall'anno seguente, «Gli albi dell'Audacia», proprio come lo è il volo). Sono le 19.45, sulla pista d'atterraggio un Boeing 737-800 sta effettuando le operazioni di rullaggio, le winglet dicono gli servano ad avere una maggiore aereodinamicità, il muso allungato è figlio dello zio Sam, che non voleva un velivolo schiacciato, quasi fosse un Airbus. Del resto, sempre negli anni Sessanta, Frank William Abagnale, truffava la Pan Am, saliva a bordo di un altro Boeing, un 747, e fingeva di essere un assistente di volo, importunava studentesse, hostess e malati di mente. E all'America i truffatori non piacciono, loro, che sulla truffa, sui sogni, sui voli pindarici, hanno costruito un'intera nazione. Generazioni di immigrati messicani, filippini, italiani, in volo sulle loro navi, alla ricerca di un qualcosa di indefinito.
Sono le 15.00, questa volta è un Airbus, un a319, a prepararsi per il decollo. 150 anime che aspettano di salire a trentamila piedi, nella speranza di vedere il mare, o un mare di nuvole, a seconda dei desideri. Al check-in informano che non è più possibile portare bagagli a mano in cabina, ma Gianni non ci sta, inizia a protestare in un milanese figlio del Cavaliere, lui ha portato meno vestiti, meno vibratori e meno paia di manette, proprio per poter usare il solo bagaglio a mano. La ragazza dell'accettazione gli sorride cortesemente, forzatamente. Lui la manda a fanculo, si avvia verso l'aereo senza curarsi di nulla. La ragazza, sempre sorridendo, prende la ricetrasmittente: -Carla, sta arrivando un uomo sulla trentina, porta una polo nera, gli occhiali da sole sulla testa e un bermuda bianco. Vuole caricare il bagaglio a mano a bordo, impediteglielo. Inizia a piovere, siamo tutti fuori, Gianni sembra voglia assolutamente conquistare la pole, si smarca prima a destra e poi a sinistra, sorpassa non si sa quanti corpi inerti, si affianca ad un gruppo di tedeschi, si spera fossero tedeschi, e con fare deciso sale le scale. Ryan, il primo assistente di volo, lo saluta cortesemente e lo invita a prendere posto. Lui sorride a sua volta, posiziona il bagaglio a mano, la sua Samsonite nera, satinata, nella cappelliera, richiude lo sportello e allaccia le cinture. Pochi minuti dopo riesco a sedermi, proprio in corrispondenza dell'uscita di sicurezza, alla mia destra una coppia che non ha mai preso un aereo in vita sua. Lei è curiosa, tocca tutto, parla in continuazione ed è indecisa se acquistare qualcosa da mangiare, leggere o mettersi a dormire. Io vorrei accarezzarle la mascella con le nocche. Poi inizia a sfogliare il giornale di bordo: -Ma è tutto in inglese! Che vuol dire lamb? E pudding? Ma sono ricette turche, uffa!
Lui le risponde pazientemente: -Lamb, amore, vuol dire agnello. Il pudding è tipo un budino, solo che è fatto di latte e altro. È una cosa strana. Hai fame?
E lei, contenta per quella spiegazione minimale, quasi scontata, afferma di sì. Iniziano le operazioni di rullaggio, lei incomincia a tremare insieme alla fusoliera, mantengono lo stesso ritmo, studia certosinamente il depliant con le operazioni da eseguire in caso di atterraggio di emergenza, ignara del fatto che difficilmente sopravviverebbe, del resto lo ha scritto anche Chuck.
L'aereo decolla, lei si calma, prova a dormire, lui l'abbraccia, nonostante il caldo infernale, lei sorride ancora di più, mostrando una dentatura di cui probabilmente non si è mai presa cura. Si risvegliano entrambe mentre l'aereo sorvola il golfo di Napoli, lei si protende verso il finestrino, noncurante della mia presenza, guarda il mare dall'alto, come se fosse la prima volta che vede l'acqua trascinarsi lungo la riva e chiede con fare curioso: -Secondo te cosa sono tutte quelle lucine sull'acqua?
Lui la guarda dritta negli occhi, prima la bacia delicatamente sul labbro superiore, poi le ravviva i capelli e le dice: -Quello è il riflesso dei tuoi occhi, amore mio.
Lo sentono tutti, la cinquantenne della fila dietro scoppia a ridere, c'è chi spera che dopo una frase così melensa l'aereo precipiti in mare.
Ma tutto fila liscio, Ryan informa che sono iniziate le operazioni per l'atterraggio. E dieci minuti dopo il mare, le lucine e gli attentati sono solo un vago ricordo. Marco ed Elisa, così si chiamano i due, sono indecisi sul da farsi, se scendere subito dall'aereo o attendere escano tutti. Mi ignorano, io sono seduto al loro fianco, bloccato dai loro corpi fuori formato standard, con un'insana voglia di fumare. E fumare ancora.
Mi affaccio dall'oblo dell'aeromobile, quasi fossi un profugo in fuga, e vedo Gianni allontanarsi verso l'area degli arrivi, fregandosene della navetta che lo avrebbe portato lì. Stringe con la mano destra il suo trolley. Probabilmente sorride.
Marco ed Elisa sono ancora lì, stanno scattando foto alla pista d'atterraggio, foto a loro stessi. La loro vacanza è un'esperienza al di fuori del comune, un'esperienza come poche altre. A metà strada tra un volo ad alta quota e un toast con formaggio e prosciutto.

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